Tra i commenti che in questo periodo vengono postati sui social ce ne sono alcuni che, nonostante il passare del tempo rimangono attuali. Ad esempio mi è capitato di rileggere quello che, Domenico Seminerio, insegnante di italiano ha scritto circa un anno fa sulla pagina ” del Comitato Festeggiamenti Addolorata 2018″ riguardo alla festa dell’addolorata e al clima che si creava in quel periodo, anche dal punto di vista gastronomico.
Infatti, solo in quel periodo era possibile gustare alcune leccornie, e ripetere riti tradizionali, come quelli dei fischietti, che riunivano la comunità in un unica GRANDE FAMIGLIA. Ecco di seguito il teso integrale consultabile ancora sulla pagina “del Comitato Festeggiamenti Addolorata 2018”
<<Da bambino aspettavo con impazienza la festa dell’Addolorata, la prima festa di primavera, coi fiori già sbocciati e le rondini che impazzavano nel cielo, che aveva l’epicentro nel quartiere dei Cappuccini. Era il primo atto delle lunghe feste pasquali coi riti in chiesa, la visita ai sepolcri, la processione del Venerdì Santo, le campane a stormo del sabato mezzogiorno, quando correvo ad abbracciare tutti quelli che incontravo, dando e ricevendo auguri e auguri e avevo in dono i panareddi di pasta dolce con l’uovo sodo, simbolo di vita e di continuità di tutte le specie viventi. Per non dire della giunta e la spartenza, nel pomeriggio della domenica, con S. Pietro che correva da Gesù alla Madonna per annunziarle la resurrezione. Aspettavo l’Addolorata, la festa dell’Addolorata, per tre cose: la cubaita, la giuggiulena e i fischietti. La cubaita era, e per fortuna ancora la fanno, un torrone di ceci abbrustoliti grossolanamente spezzati e conditi con zucchero e miele, presentato alla vendita a bastoncini; la giuggiulena era anch’essa un torrone a bastoncini, ma di semi di sesamo leggermente abbrustoliti e legati con zucchero e miele. Croccanti, saporitissimi, allegri per la diavolina, le minuscole palline di zucchero colorato, da masticare con prudenza per non mettere a dura prova denti e gengive. E poi i fischietti di terracotta, sgargianti di rosso e giallo e verde, modellati alla buona dai garzoni dei ceramisti, che raffiguravano, con una certa eleganza d’arte naif, carabinieri col giummo, ovvero il pennacchio blu e rosso, cavalli e leoni e altri animali, donne del popolo, pure l’Addolorata coperta da un gran mantello nero. Sculturine con poco rilievo e col retro piatto, perché lì era inserito il beccuccio col buco da cui, soffiando con tutto il fiato che avevo nei polmoni, usciva un fischio lungo, acuto, invasivo. Potevo fischiare solo lì, davanti alla chiesa, insieme a tutti gli altri bambini, perché a casa non si poteva. Tornati a casa dovevamo consegnare i fischietti, che venivano fatti sparire velocemente, per evitare la prevedibile rottura dei timpani negli orari più impensati. Fischiavamo davanti alla chiesa, affollata di popolo, fino a quando da tutti i fedeli non s’alzava il canto magnifico e struggente del Salve Regina in perfetto dialetto: “Diu vi salvi o Regina, e Matri addulurata”, un canto intonato da tutti e da cui emergevano le note più acute e strazianti riservate solo a quelli che avevano le voci adatte. Il canto e i fischietti, a cacciare l’inverno e il freddo e la parsimonia del poco che s’aveva a disposizione e ad accogliere la primavera e i suoi colori e i suoi profumi. Un suono apotropaico, avrei appreso in seguito, un suono contro il malocchio presente in tutte le civiltà d’ogni terra e d’ogni epoca. >>
In onore di questa festività ho pensato di riproporre le due ricette che si possono preparare comodamente a casa, e riassaporare un sapore che rimane per sempre nei ricordi cari della gioventù
(Testo di Domenico Seminerio)
-1 kg di ceci tostati
– 400 gr di miele
– 500 gr di zucchero
– scorza di arancia grattugiata
– diavolina
– vanillina
Tritare i ceci in modo molto grossolano.
Mettere la pentola sul fuoco con il miele, aggiungere lo zucchero (entrambi da sciogliere) aggiungere la scorza dell’arancia, vanillina e ceci, insieme ai ceci aggiungere la diavolina.
Mescolare il composto per bene, bisogna stare attenti che non si attacca alla pentola e non si brucia.
Ungere di olio la carta da forno, adagiare il composto, compattarlo bene.
Tagliare a strisce il composto mentre che è caldo, appena raffredda si spezza con le mani e si può conservare per diversi giorni.
-500 g. di sesamo scuro
-450 g. di zucchero
-2 cucchiai di mandorle
-2 cucchiai pieni di miele.
-Scorrette d’arancia
In un tegame fare sciogliere il miele con lo zucchero senza mescolare. Quando la miscela raggiungerà il punto di ebollizione, aggiungere i semi di sesamo. Procedere nella cottura mescolando con un cucchiaio di legno.
Aggiungere le mandorle tostate dopo circa 15 minuti e continuare a cuocere per altri 10 minuti, mescolando spesso, per il tempo necessario affinché i semi di sesamo prendano un colore ambrato e si amalgamino bene con gli altri ingredienti. Terminata la cottura, aggiungere le scorzette di arancia girare un pò, versare su carta forno unta di olio, stirare con la spatola.
Aspettare un paio di minuti prima che si rapprenda.
Con un coltello tagliarla prima in strisce larghe 4 cm, poi in tanti rettangoli o rombi e lasciare raffreddare a temperatura ambiente.
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